venerdì 13 marzo 2015

In Spiaggia

Avevo scritto questo articolo tre o quattro anni fa.
All'epoca Alessandro, mio figlio, aveva 3 anni e cominciava ad avere le sue opinioni.
Luca Canever 
Verona 13/03/2015

L’anno scorso, la vacanza al mare era terminata con Alessandro che aveva accettato di indossare i braccioli. Insieme abbiamo passato l’intero inverno in piscina, sempre con i braccioli. Arriviamo in spiaggia quest’anno e il bambino non ne vuole sapere di indossare i suoi braccioli. “?” penso io. “per quale motivo al mondo, non vuole mettersi i braccioli, pur avendoli già usati e conoscendo i vantaggi che danno?”. Naturalmente, provo a convincerlo: facciamo il motoscafo; giochiamo a bordo di un canotto gonfiabile; lo porto a spasso sulla schiena. Niente da fare malgrado i miei tentativi Alessandro si rifugia nel più classico dei “No voio”, e tutti i miei tentativi non hanno successo. Finchè… carico il canotto con i nostri giochi (e i braccioli) e porto il bambino con me in acqua. 
Prendo il bambino in braccio e gli faccio fare il motoscafo trascinandolo per le braccia. Sempre con il bambino il braccio gli faccio vedere che i braccioli galleggiano e riesco ad infilargliene uno sotto l’ascella. Anche se è in braccio a me, Alessandro sente la spinta verso l’acqua, ed apprezza. A questo punto, ne approfitto, e metto anche il secondo bracciolo sotto il braccio. Pur con questo supporto non si stacca dalle mie braccia e la situazione non migliora: il bambino non vuole indossare i braccioli. Disperazione! Prendo Alessandro, me lo metto sulla pancia ec erco di nuotare a dorso. Ovviamente con il peso del bambino sulla pancia, non riesco a stare a galla; prendo i braccioli e me li metto sulle mani (sono troppo piccoli per andare più su): in questo modo riesco a stare a galla e portare il peso sulla pancia. …
Idea! Spesso, sia in piscina che qui al mare abbiamo fatto il gioco del motoscafo: prendo Alessandro per le mani e corro all’indietro. Lui si diverte parecchio in questo modo. Stessa cosa oggi, solo che, gli spiego, che per afferrare le mie mani, visto che siamo al mare e ci sono le onde (che i motoscafi saltano!) le sue mani devono stare dentro i braccioli. Il tag point è: mani nei braccioli. Facciamo il motoscafo, Alessandro si diverte: yuppi! Penso io. Rifacciamo il motoscafo, cambiando il tag point. Il tag point è: braccioli sui polsi. Nuovo, grande successo. In altre due ripetizioni, Alessandro aveva i braccioli sulle spalle e stava nuotando per conto suo avanti e indietro. Ci sono volute due ore per riuscire a portarlo fuori dall’acqua, che per fortuna, quel giorno era molto calda.
 La morale è, ovviamente, che esiste sempre una soluzione. Bisogna tenere la mente aperta e “laterale”, pronti per afferrare anche le minime opportunità che l’ambiente ci offre. Io sono stato fortunato: per caso ho avuto i braccioli sulle mani, aprendomi il “pensiero laterale”. A mente fredda, riscrivendo questi appunti, mi rendo conto che il TAGteach va a marcare cosa fa avvenire il comportamento, non il comportamento stesso e, avere le mani dentro i braccioli, era quello che mi serviva come punto di partenza per ottenere il comportamento. Istintivamente, ci si preoccupa di quello che manca, non di come possiamo ottenerlo. Io era focalizzato su “il bambino non ha i braccioli” e non su “il bambino indossa i braccioli”.
A questo proposito vi racconto una storia che ho letto.

 Si racconta che un mercante fosse stato costretto a chiedere in prestito i soldi ad un avido usuraio. Arrivato il momento di pagare, il mercante si trovò di nuovo senza soldi. L’usuraio venne a riscuotere il suo debito e vide la bella figlia del mercante. Propose questo scambio: la mano della figlia in cambio dei debiti del padre. Ovviamente i due si opposero dicendo che si trattava di una richiesta crudele e spaventosa. Forse qualcosa si mosse nel cuore dell’usuraio che propose una scommessa: avrebbe messo dentro la sua borsa un sasso nero e un sasso bianco. La ragazza avrebbe pescato: se fosse uscito il sasso bianco avrebbe sciolto i debiti senza chiedere niente in cambio; se fosse uscito il sasso nero, avrebbe ugualmente cancellato i debiti, ma la ragazza sarebbe diventata sua moglie. Sottrarsi a questa prova avrebbe significato la galera per il padre e la povertà assoluta per la figlia. La ragazza accettò. Si accorse però, che l’usuraio, disonesto, metteva di nascosto nella borsa due sassi neri. Cosa fare? Denunciarlo? E chi le avrebbe creduto? Rinunciare alla prova condannando il padre alla galera? Questo è quello che fece: pescò un sasso nella borsa, ma prima di mostrarlo lo fece cadere per terra: “oh, cielo! Come sono sbadata! Ma nulla è perduto: visto che nella borsa c’erano un sasso nero e uno bianco, basta vedere il colore del sasso rimasto nella borsa per sapere il colore di quello che ho fatto cadere”. Ovviamente nella borsa era rimasto solo un sasso nero, ma l’usuraio non poteva protestare: farlo avrebbe significato ammettere la propria disonestà. Così l’uomo malvagio fu costretto a cancellare i debiti del mercante.

Cosa ha fatto la ragazza? Ha pensato lateralmente: anziché preoccuparsi del sasso bianco che mancava, ha trovato il modo per trovare il sasso. Lo stesso con Alessandro e i suoi braccioli o in ogni altra situazione: non focalizzarsi su quello che manca, ma su come ottenere quello che si vuole. In altre parole: tag.

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